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COSTRUZIONI TRULLIFORMI E MURETTI A SECCO NELLA VALLE DELLA CUPA

Chiamate comunemente, “furni” o “furnieddhi”, “chipuri”, “calì” o “calivaci”, queste singolari costruzioni di calcare tufaceo e pietrame identificano fortemente in tutto il Salento il rapporto uomo-ambiente e attestano i primissimi segni di umanizzazione dello spazio rurale attraverso lo sfruttamento di una materia prima che nell’area della depressione carsica della Cupa risulta particolarmente abbondante. Un fenomeno di permanenza culturale forse unico nella regione e, una tecnica edilizia che, dalla sua comparsa in epoche antichissime ad oggi, si tramanda senza risentire del fascino degli stili.
Ripari temporanei a pianta circolare o quadrata, sviluppati in altezza, in forma troncoconica o tronco piramidale, singoli o a coppia, isolati al centro delle unità particellari o sistemati sui confini per non togliere spazio alle colture: si tratta sempre di costruzioni unicellulari realizzate generalmente dagli stessi contadini con le pietre ricavate dalla terra dissodata ed utilizzate come rustici o come sistemazioni provvisorie.
La maggior parte delle costruzioni trulliformi in pietra a secco non risale ad epoche remote: la tecnica, il materiale e l’assenza di qualsiasi legante non consentono lunghe possibilità di sopravvivenza e la semplicità del sistema costruttivo, nonché la facilità di reperire o di riutilizzare il materiale, generalmente favoriscono la totale ricostruzione di vecchi ripari anziché il restauro o il parziale ripristino.
La tecnica costruttiva è rimasta pressoché invariata nel corso dei secoli: individuato il sito, l’esperto “truddharo” disegna la planimetria del riparo direttamente sul terreno iniziando la costruzione dei muri perimetrali, tirati in altezza verticalmente fino a 1,5 – 2 metri circa. Tra il muro interno e il muro esterno, un’intercapedine colmata con pietrame più piccolo frammisto a terra. Spianata la sommità dei muri si imposta la cupola, procedendo per successivi anelli concentrici fino al vertice, il cui “occhio” viene chiuso da una lastra calcarea di opportune dimensioni. Negli impianti dalla planimetria quadrangolare, il raccordo tra la muratura di base e la cupola si risolve mediante quattro pietre di grande pezzatura sporgenti dagli angoli (pieducci), che forniscono l’avvio all’arrotondamento progressivo degli anelli per chiudere la costruzione.
Gli aspetti formali, identificano la relazione tra forma e grado di sviluppo sociale: la pianta circolare rappresenta la soluzione geometrica più carica di primitività, mentre quella quadrata o rettangolare adottata in tempi successivi riproduce un modello architettonico più evoluto; non di rado le due soluzioni geometriche convivono nel medesimo edificio che appare di forma tronco-conica, ma con la pianta quadrata all’interno.
Elemento comune e frequente, la scala con una o più rampe, che conduce al terrazzo sommitale rivelandosi elemento funzionale nella fase di realizzazione, favorendo il trasporto del materiale verso l’alto e l’avanzamento del costruttore con il sovrapporsi dei cerchi di pietra. Molto variegato il repertorio formale dei profili delle porte d’ingresso: dal primitivo sistema trilitico con due elementi verticali e uno orizzontale, all’architrave spezzato in due blocchi monolitici che anticipano il triangolo di scarico delle soluzioni più evolute, fino a giungere alla porta ad arco.
Non di rado la struttura reca eternamente, ai lati del varco di ingresso dei sedili di pietra e nello spessore delle murature, nicchie cieche per l’alloggiamento delle lucerne ad olio.
I muretti a secco
Le prime costruzioni rurali realizzate su questa terra di sassi saranno i muri a secco, intersecati secondo un ordine prestabilito per chiudere piccole superfici di terra, strappate alla roccia dal contadino.
Il sovrapporre le pietre senza alcun legante è probabilmente una manifestazione istintiva dell’uomo, anche se la differente disposizione e la tessitura delle pietre stesse sono spesso importante chiave di lettura per la datazione delle costruzioni. Nella maggior parte dei casi si tratta di muretti che delimitano le proprietà fondiarie inglobando probabilmente antichi muri. Sui bordi di vecchie strade campestri, si possono individuare elementi che fanno parte di quelle antiche confinazioni, come i crepidines e i gonphi, pietre più grosse infitte verticalmente nel terreno per montare a cavallo.
Muri di piccole unità particellari e muri più spessi (paretoni, limitoni e parieti grossi) posti a confine di antichi possedimenti feudali e risalenti a periodi diversi si fondono in un mosaico che caratterizza fortemente il paesaggio rurale.

Beni di riferimento

CAVALLINO: Costruzione trulliforme di Fondo Sentina; mura dell’isediamento messapico (attuale Museo Diffuso “Sigismondo Castromediano”
SURBO: località San Lasi; e muretti nelle vicinanze delle masserie Macchia, Coppola, Melcarne, Cardami, Cafore
LIZZANELLO: Costruzione trulliforme vicinanze del cimitero

Bibliografia

• Antonio Costantini, Guida alle Masserie del Salento, Congedo Editore, Galatina



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